RICORDI: OGGI COME IERI

“Sentivo tremante con il volto nel grembiule della mamma, seduta alla sedia di paglia, i passi rumorosi dei tedeschi”.

Il telefono, anche quello tradizionale attaccato alla spina, tiene in vita i rapporti sociali. Ad onor del vero, è sempre piacevole ascoltare dall’altro capo del filo, la voce amica che risponde alla chiamata, soprattutto di questi tempi. Per dire cosa? Tutto e niente: esprimere preoccupazioni e condividere paure per il contagio e, di qui, per scantonare in argomenti diversi ma ad esso collegati. Mi è capitato, quindi, domenica scorsa di telefonare alla signora Anna, una nonnina di 83 anni che, per altre ragioni, andavo a visitare con cadenza settimanale. L’ho sentita molto preoccupata ma anche serena, come tutti d’altronde. Cosa possiamo fare per difenderci da questo flagello? Nulla. Dobbiamo essere accorti e seguire pedissequamente le raccomandazioni, soprattutto quella di restare a casa. Anna, per le sue condizioni di salute, lo faceva anche prima. Ora anche di più, “rifiutando” a malincuore l’invito di essere ospite dei suoi figli e, ancor più, “chiudendo la porta in faccia” ai figli che le vogliono fare visita. Che brutta sorte per una mamma! Il telefono, allora, porta la vita e dona alcuni minuti di distrazione dall’angoscia del momento. Ma non troppo. La lingua batte dove il dente duole. Questa condizione di “reclusa”, allora, ha fatto balenare alla mente di Anna i ricordi indelebili di quando era bambina. “Sentivo tremante con il volto nel grembiule della mamma, seduta alla sedia di paglia, i passi rumorosi dei tedeschi che si aggiravano nel paese, la loro voce autoritaria, i comandi dei loro superiori”. Per non farsi sentire, Anna quasi non respirava. Come lei, tutti gli altri ovviamente. La porta della povera casa (la vetrine) era chiusa, per dare a credere che fosse disabitata. Erano tempi tristi. La fame, poi, era ospite quasi giornaliera. Tutto si faceva con tanta prudenza, quasi di nascosto per evitare ogni attenzione dei soldati invadenti. Ogni loro passo, un accelerazione del battito cardiaco. Tutto si faceva per scongiurare la loro reazione, fosse anche un rimprovero o l’ascolto di parole minacciose, ancorché incomprensibili, con tono da far spavento.

Ho trovato in questo amarcord di Anna tante analogie con il tempo presente. Il volto lo nascondiamo nelle mascherine; la voce che ascoltiamo è quella dell’auto munita di altoparlante che ci invita a rimanere a casa; restiamo con il fiato sospeso quando ascoltiamo l’andamento flagellante del contagio e angosciati quando appuriamo che una persona del paese è stata colpita dal nemico. La fame, non ancora, e speriamo di non arrivarci. L’unica cosa diversa dal racconto, è il soggetto invasore: ieri i tedeschi con la loro minacciosa presenza, i loro passi rumorosi, i loro comandi autoritari. Oggi un nemico invisibile che non ha voce, che non fa sentire il rumore dei passi, che non dà comandi. Un nemico viscido, infame, vile perché non si rende presente se non dopo aver colpito. Anna, quindi – alla pari ovviamente di tutti i suoi coetanei di quel tempo – è ritornata bambina, a vivere nell’angoscia che l’attanaglia, a preoccuparsi per sé e per la sua famiglia, ad ascoltare qualche battito in più del suo provato cuore come se volesse andare in libera uscita. I “corsi e ricorsi storici”, della teoria del noto filosofo napoletano Giambattista Vito, forse saranno veri. Anzi, per Anna lo sono. Il 20 settembre 1943 i tedeschi lasciarono Santeramo. Ad Anna non le ho chiesto cosa ricorda di quel giorno. Ma sicuramente fu anche per lei un giorno felice, ora sbiadito nella sue mente. L’indimenticabile atto eroico di Carmine Crupi e, sicuramente, di Pietro Fiorentino, che resero innocua la polveriera della “Parata” salvarono Santeramo dalla distruzione. Si ritornò a gustare la bellezza senza pari della libertà. Anna, come tutti, ritornò a respirare. Non ebbe più paura né bisogno di nascondere il suo bel visino nel grembiule della mamma. Per lei e per tutti iniziò una vita nuova, lenta e ancora piena di duri sacrifici ma protesa verso tempi decisamente migliori. Quella “vetrine” poteva essere lasciata aperta anche di notte perché non c’era nulla da rubare in quella casa, se non qualche tozzo di pane. “Il 20 settembre 1943” di oggi, quando arriverà a Santeramo e nel mondo?

 

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