La politica, i Vescovi e tutti gli altri devono tacere e stare a casa.
Un vespaio di polemiche ha suscitato il nuovo decreto del Presidente del Consiglio per l’avvio della fase 2. In campo in maniera spropositata, anche la Conferenza Episcopale Italiana, poi riportata a ragione da Papa Francesco, per il fatto che le celebrazioni, all’infuori di quella per il funerale, limitata al numero massimo di 15 partecipanti, non sono entrate nel pacchetto delle riaperture che avranno inizio a far data dal 4 maggio. Clamorose e rancorose le prese di posizione di alcuni capipopolo che, con la bava alla bocca, hanno minacciato lo sciopero con le mascherine perché la riapertura prevista dal D.P.C.M. doveva essere più larga ed espansiva. Fuori luogo le prese di posizione di alcuni ministri che, come se non facessero parte della compagine governativa, si sono dichiarati non d’accordo sul contenuto del decreto ritenuto restrittivo. Astiose le pretese delle Associazioni di categoria per il fatto che la riapertura degli esercizi commerciali è stata già prevista per il 18 maggio. Scalpitanti le società sportive per la riapertura degli stadi. Nel sottobosco della vita politica ed economica, sicuramente tante altre rivendicazioni. La “coperta” della fine del confinamento è stretta, quindi, per poter accontentare tutti in lungo e in largo: questo è il dato lampante sotto gli occhi di tutti. Ovviamente per dichiararsi insoddisfatti, ognuno non pensa agli interessi generali dell’Italia ma a quelli del proprio orticello. Tutto questo casino per soli 15 giorni in attesa di nuove, annunciate riaperture! Come non pensare a strumentali prese di posizione? Per 15 giorni soltanto, il mondo certamente non casca. Francia e Germania si stanno ravvedendo sulla bontà della fase 2. Da questo ginepraio di posizione di parte, emerge purtroppo che manca una visione d’insieme. E’ la conferma che sullo stesso territorio si muovono almeno due Italia: quella che vuole ripartire a piccoli passi e con prudenza, e quella che vorrebbe già fare la maratona a grandi falcate. Nel mezzo, c’è il contagio che ha decelerato ma non si è fermato; che non guarda in faccia a nessuno; che basterà una sola mossa falsa perché riprenda ad alzare a piene mani la falce per mietere tante altre vittime; che sembra stia aspettando al guado per darci il colpo di grazia. Chi parla senza questa base di matura consapevolezza, sta scherzando con il fuoco.
Le pretese prima succintamente elencate sono tutte legittime ma incompatibili con la situazione in corso. Occorre prudenza, molta di più di quella che si continuerà a praticare fino al 3 maggio. L’errore che ha commesso l’altra sera il Presidente del Consiglio è che doveva parlare più insistentemente in nome e per conto del Comitato Tecnico Scientifico e dell’Istituto Superiore della Sanità, organi assoluti a decidere. Non averle fatte con determinazione e con chiarezza, le sue dichiarazioni sono state legittimamente interpretate come “scelte politiche”, motivo per cui gli esclusi da queste scelte si sono ribellati. Ma non è così, non deve essere così. Non sono le “scelte politiche” che possono determinare la fine o l’allentamento del lockdown, bensì le decisioni assunte dalle Autorità Sanitarie. Ecco perché la politica, i Vescovi e tutti gli altri devono tacere e stare a casa. Sono questi organi tecnici che devono governare l’Italia in questa fase, non altri. Loro hanno in mano la gravità della situazione e nessuno si può ad essi sostituire. Il Presidente del Consiglio dovrà essere soltanto il loro portavoce.
Allora bisogna essere chiari e onesti prima con se stessi e poi con gli altri, senza sotterfugi e senza spicciole speculazioni politiche: si deve dare priorità alla salute o all’economia? Si deve dare precedenza al benessere dei cittadini o alla movida commerciale o serale che sia? Le due cose oggi non possono convivere. E’ come se si avessero due piedi in una scarpa. Questo à il dilemma di fondo. In questa fase, toccasse a me decidere, non esiterei un istante a persistere nel lavoro per la tutela e la salvaguardia della salute pubblica perché senza di questa non si hanno le altre cose. La calma è la virtù dei forti. Altra cosa sono le grandi difficoltà economiche delle imprese di qualsiasi grandezza e natura esse siano e che nessuno nega, e delle famiglie. Per loro occorre subito polverizzare la burocrazia per imprimere maggiore rapidità nella concessione degli interventi di sostegno economico, individuando nei Comuni – se del caso – gli Enti per l’istruttoria delle pratiche di liquidazione, anche con il concorso di capaci professionisti esterni. Ma spalancare le finestre alla “primavera” è azzardato. Forse, come tutti auspichiamo, tra quindici giorni a partire dal 4 maggio, le condizioni potranno essere migliori per allentare non più di tanto le cinghiette della museruola dell’infezione sociale, della quale l’umanità si libererà soltanto con la somministrazione del vaccino, senza del quale continueremo a rimanere sostanzialmente in quarantena. Si convincano politici, vescovi e tutti gli altri appresso. Chi davvero ama l’Italia, ragiona prima per il bene degli altri e dopo per quello proprio.