Padre Angelo, sacerdote monfortano della nostra città, ha tratteggiato il ruolo della Polizia in un contesto sociale nel quale il loro lavoro è prezioso per l’intera comunità.
Nella bella cornice della Chiesa di San Giuseppe a Santeramo, sabato 20 gennaio è stata celebrata una santa messa in onore di San Sebastiano, patrono della Polizia Locale.
Intorno al Comandante Dott. Vincenzo Caporusso, numerosi operatori di Polizia Locale e, in rappresentanza della Benemerita Arma dei Carabinieri, il Maresciallo Pasquale Prisciantelli.
Tutto si è svolto in un clima di semplicità e sentita devozione. Nel corso della sua omelia, Padre Angelo, sacerdote monfortano della nostra città, ha tratteggiato il ruolo della Polizia in un contesto sociale nel quale il loro lavoro è prezioso per l’intera comunità.
Padre Angelo è stato servito dal ministro della Santa Comunione Roccangelo Tritto, già dipendente del Comune di Santeramo.
Poi tutti a casa, con l’impegno ad organizzare nella prossima primavera un’agape fraterna come si è fatto tanto volte fino all’anno scorso al termine della celebrazione eucaristica.
Per l’Amministrazione Comunale è intervenuta la Vice Sindaca Marianna Labarile. Sono pure intervenuti altri assessori comunali e diversi consiglieri comunali.
Profilo di San Sebastiano, tratto da Wikipedia
San Sebastiano (Narbona Francia), 256 – Roma, 20 gennaio 288) è stato un militare romano, martire per aver sostenuto la fede cristiana; venerato come santo dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa Cristiana Ortodossa, è oggetto di un culto antichissimo.
Il santo visse quando l’impero era guidato da Diocleziano. Oriundo di Narbona ed educato a Milano, fu istruito nei principi della fede cristiana. Si recò poi a Roma, dove entrò a contatto con la cerchia militare alla diretta dipendenza degli imperatori[1]. Divenuto alto ufficiale dell’esercito imperiale, fece presto carriera e fu il comandante della prestigiosa prima coorte pretoria, di stanza a Roma per la difesa dell’Imperatore. In questo contesto, forte del suo ruolo, poté sostenere i cristiani incarcerati, provvedere alla sepoltura dei martiri e diffondere il cristianesimo tra i funzionari e i militari di corte, approfittando della propria carica imperiale.
Quando Diocleziano, che aveva in profondo odio i fedeli a Cristo, scoprì che Sebastiano era cristiano esclamò: “Io ti ho sempre tenuto fra i maggiorenti del mio palazzo e tu hai operato nell’ombra contro di me.”; Sebastiano fu quindi da lui condannato a morte. Fu legato ad un palo in un sito del colle Palatino, denudato, e trafitto da così tante frecce in ogni parte del corpo da sembrare un istrice. I soldati, al vederlo morente e perforato dai dardi, lo credettero morto e lo abbandonarono sul luogo affinché le sue carni cibassero le bestie selvatiche; ma non lo era, e Santa Irene di Roma, che andò a recuperarne il corpo per dargli sepoltura, si accorse che il soldato era ancora vivo, per cui lo trasportò nella sua dimora sul Palatino e prese a curarlo dalle molte ferite con pia dedizione. Sebastiano, prodigiosamente sanato, nonostante i suoi amici gli consigliassero di abbandonare la città, decise di proclamare la sua fede al cospetto dell’imperatore che gli aveva inflitto il supplizio. Il santo raggiunse coraggiosamente Diocleziano e il suo associato Massimiano, che presiedevano alle funzioni nel tempio eretto da Eliogabalo, in onore del Sole Invitto, poi dedicato a Ercole, e li rimproverò per le persecuzioni contro i cristiani. Sorpreso alla vista del suo soldato ancora vivo, Diocleziano diede freddamente ordine che Sebastiano fosse flagellato a morte, castigo che fu eseguito nel 304 nell’ippodromo del Palatino, per poi gettarne il corpo nella Cloaca Maxima.