Non sepolcro, ma reposizione: questo il termine giusto. La foto capolavoro di Dino Iurino.
Fino all’anno scorso, al termine della celebrazione della santa messa del Giovedì Santo, era consuetudine, non solo a Santeramo, visitare i “sepolcri. Questa volta, non così. Le chiese restano giustamente chiuse. L’obbligo di stare a casa per il diffusissimo contagio, ha soffocato l’ardore di vivere questa antica tradizione. Tanta gente, anche non credente, passava da una chiesa all’altra per visitare l’ultimo momento di Gesù in vita prima della sua dolorosissima passione e morte. Per molti, era una occasione di passeggio piuttosto che di fede. Ci stava, non adorazione ma folklore nell’imminenza della santa Pasqua. Per altri, era un pellegrinaggio pregato da una chiesa all’altra. Per altri ancora, una curiosità per vedere come era stato abbellito il “sepolcro”, la sua scenografia. Di solito, oltre ai fiori che nelle chiese non mancano mai, si era solito adornare il “sepolcro” con ciotole di semi germogliati, solitamente semi di grano o di lenticchia. L’ovatta fungeva da terreno. Tra una chiesa e l’altra, c’era chi pregava, di parlava di altro, chi commentava l’abbellimento. Questo camminare durava sino a notte tarda per riprendere, in maniera meno intensa, la mattina del venerdì santo fino a mezzogiorno. Poi la scena veniva tolta in vista delle “ore tre del pomeriggio”. Se i nostri cari lettori sono stati attenti, come lo sono sempre, hanno potuto notare che sinora ho scritto la parola sepolcri tra gli apici. Ci sarà un motivo, allora? Si, che c’è! Non sepolcro, ma reposizione: questo il termine giusto per due motivi. Il primo è che nella sera del giovedì sera e fino a mezzogiorno del giorno seguente, Gesù non è ancora morto, per cui non si può mettere nel sepolcro chi è ancora vivo. Il secondi motivo è che per reposizione di intende il luogo, nella liturgia cattolica, dove viene riposta l’Eucaristia al termine della messa vespertina del Giovedì Santo, che sarà distribuita ai fedeli la sera del venerdì santo quando – è l’unico giorno dell’anno – non viene celebrata la santa messa. Questo luogo, al fine di essere abbellito con fiori e ciotole germogliate, non coincide per motivi di spazio con il tabernacolo presente in tutte le chiese. Allora è come dire che Gesù sacramentato viene “trasferito” in un luogo molto più ampio rispetto a quello ristrettissimo del tabernacolo per essere circondato da quei motivi adornamentali prima detti.
Sarà così anche per la veglia di Pasqua, la madre di tutte le veglie, per l’accensione cero pasquale, il rito dell’acqua e della luce, che simboleggiano la risurrezione di Gesù Cristo. Le chiese resteranno chiuse per somma prudenza. Per il vero credente, sarà una bella sofferenza. Ma, molto meglio così. La loro apertura sarebbe un rischio che è molto meglio non correre per vivere tutti insieme le prossime liturgie pasquali che, con fiducia, attenderemo per il prossimo anno.
La foto capolavoro che arreda questa news, è del caro amico Dino Iurino. E’ un concretato di emozioni: è il giovedì santo di un anno imprecisato, presumibilmente nella Chiesa di Santa Lucia a Santeramo. Il sacrestano accende le candele devozionali, ora sostituite dalle luci per evitare l’affumicamento delle pareti della chiesa; le pie donne che osservano, forse i religioso silenzio; il basso a destra si intravede il cappellino di un bambino che, come altri suoi coetanei, partecipava sull’altare al pellegrinaggio; sull’altare post conciliare, la caraffa del vino (u ruzzule)” e il pane, che sono i simboli eucaristici per eccellenza. Sull’altare “maggiore”, invece, si intravedono lici accese, fiori e, forse, anche piccole ciotole di semi germogliati. Ricordi indelebili di ieri, speranza viva del nostro presente.