Amarezza di un ritorno al mio paese
Sindaco D’Ambrosio,
il mio non premettere al suo cognome il titolo di “professore di religione” o la qualifica di “signore” non è dimenticanza. E’ cosa voluta. Non me la sento proprio di riconoscerle, per quanto accaduto, quel credito dovuto ad un autentico docente di religione o ad un vero signore. Penso abbia già intuito. Mi riferisco infatti all’inaccettabile suo comportamento nei riguardi del concittadino da lei “violentemente cacciato” da Palazzo Marchesale nel corso del pubblico incontro del 19 u.s.
Su quanto, allibito, ho avuto modo di assistere, motiverò il mio punto di vista non prima di una breve premessa.
Contrariamente a quanto lei possa ritenere, non sono un Trc dipendente. Nei confronti della nostra emittente sono certamente debitore per l’ospitalità che da tempo mi viene accordata. Ospitalità senza alcuna contropartita che, per carattere e formazione, mai avrei potuto accettare. Sono e mi sento libero, sindaco D’Ambrosio, e, nei limiti delle mie capacità, liberamente scrivo, debitamente assumendomene le responsabilità. Presto attenzione e porto rispetto e gratitudine a chi del mio paese si occupa, indipendentemente dal chiamarsi “Partecipare”, “Il Colle”, “ Santeramolive”, “Santeramoweb”. Amo Santeramo, sindaco, perché laggiù sono le mie radici e i miei affetti, perché laggiù riposano i miei morti. Le è difficile capire questo, D’Ambrosio, professore di religione?
E vengo al cittadino da lei “cacciato” dalla sala Giandomenico in maniera becera e fuori da ogni memoria pubblica. Ma chi crede di essere, D’Ambrosio? Novello Cristo che scaccia i mercanti dal tempio? Ma chi è il vero mercante nella casa di tutti? Quale religione, D’Ambrosio, lei pratica e cosa mai insegna ai suoi ragazzi di scuola e di partito? Si rende conto del disagio che il suo inaccettabile scomposto comportamento crea a noi tutti, inclusa la sua stessa maggioranza di per sé già fin troppo traballante?
Quel cittadino così violentemente “cacciato” (ma in virtù di quale potere?) potrebbe aver anche proferito le più assurde e ingiuste delle accuse, ma lei perché esplode in una inaudita e inammissibile violenza verbale anziché rifarsi, con la compostezza che il ruolo richiede, al sacrosanto diritto di ottenere spiegazioni e chiarimenti? D’Ambrosio, quel cittadino è un elettore, non un immondo appestato che pur sempre richiederebbe comprensione. Lei, sindaco, con la sua irata, squallida e ingiustificabile esibizione, ha superato di gran lunga la trita immagine antica della maestrina isterica e ultrautoritaria che metteva l’alunno irrequieto dietro la lavagna. Lei ha fatto di più e peggio: lo ha espulso d’impeto e d’ira, direttamente e nel peggiore dei modi, urlando, indicandogli e intimandogli la via dell’uscita. D’Ambrosio si dia una calmata e si ricomponga: corre l’anno 2015. L’autoritarismo becero non ha portato bene ad alcuno. La religione che professa, e che dice di insegnare, non le ricorda che scusarsi é un dovere? Mi dicono sia autoritario, testardo e assai poco incline ad accogliere consigli: anche se sprecato, sommessamente e in punta di penna, gliene suggerisco uno: si scusi con quel concittadino così violentemente da lei aggredito e “cacciato”. Lo merita lui, lo meritiamo noi che da lei pretendiamo di essere sempre rappresentati al meglio. Diversamente che primo cittadino e che insegnante di religione è mai lei?
Passo oltre.
Grazie per aver pubblicamente informato che presto avremo, a cura del Comune, un foglio di notizie riguardanti la gestione della cosa pubblica. Grazie per aver pubblicamente assicurato che vi sarà spazio per la voce dell’opposizione e dei lettori. Accorgersi, seppur tardivamente, che Facebook non può essere in eterno contrabbandato per pagina istituzionale, è cosa apprezzabile.
Ed eccomi, dulcis in fundo, ad una ulteriore sua “perla” che, questa volta, mi riguarda molto direttamente. Sempre nel corso dell’incontro in questione, bontà sua, mi ha gratificato di caduta di memoria quando ho voluto ricordare che i pini da lei ordinato di abbattere presso la Casa di Riposo erano almeno di età trentennale. D’Ambrosio, le mie primavere sono a quota settantasette compiute, ma non accuso, bontà del Padreterno, quanto lei improvvidamente mi accredita. Rilevo invece una sua profonda (voluta?) non conoscenza di alcune tappe della storia santermana. Cosa riprovevole in un sindaco che siede a Palazzo di Città.
Si metta pertanto comodo, sindaco, e prenda debita nota.
All’età esatta dei pini abbattuti, che lei pubblicamente ha assicurato non superare le sette unità in numero e i sei-sette anni in età, si può anche giungere attraverso la storia della Casa di Riposo, il cui inizio lavori ebbe luogo nel lontano marzo 1975.
Tre anni più tardi, anno 1978, il rustico della struttura era ultimato e i pini donati dalla Forestale per la Casa di Riposo, oltre che per Galietti, vennero messi a dimora da operai comunali coordinati dal padre dell’attuale nostro Generale della Forestale, dott. Silletti. Pini pertanto di trentasette anni di vita e non di sei o sette come, interessato a mitigare un discutibile operato, vorrebbe far credere.
Causa mancanza di fondi, quei lavori furono fermati per l’intero arco 1978/1979.
Nel 1979/80 furono invece trapiantati i robusti corbezzoli prelevati dal Pollino.
Il giorno 05/11/1988, in gran pompa, avvenne l’inaugurazione della Casa di riposo. Vi presenziarono vari nostri sindaci (Tonino Digregorio, Peppino Casone, Bartolo Lanzolla, Davide Bellisario, Peppino Nocco), il Sottosegretario di Stato on. Lenoci, rappresentanti istituzionali delle tre Città gemellate con Santeramo, autorità varie. Nell’occasione alla Città di Santeramo venne consegnata la bandiera europea che da quel giorno fiancheggia, a Palazzo di Città, il nostro tricolore.
Per l’occasione il sindaco pro tempore Tonino Digregorio dispose l’invio a ogni santermano lontano (Italia, Francia, Germania e oltre oceano) una cartolina ricordo, appositamente fatta stampare per l’avvenimento. I pini sono pertanto cresciuti, sindaco, con la Casa di Riposo.
Come guida per la verifica dell’esattezza delle notizie sopra riportate le consiglio la persona che politicamente l’ha allevata e nutrita, ovvero la neo Commendatore della Repubblica, la nostra Maria Teresa Picardi che per la Casa di Riposo qualche fatica l’ha pur spesa. Può anche rifarsi a “Partecipare” del febbraio ’79 che documenta ampiamente l’avvenimento con foto e scritti.
Mentre mi accingo a chiudere, ricevo conferma che le piante ad oggi abbattute ammontano a ventisei (!!!) e che ad altre ancora potrebbe essere riservata identica sorte. Altro che i sei-sette giovani pini da lei pubblicamente e ironicamente assicurati. Sindaco D’Ambrosio, carenze anche nella capacità di calcolo e nella sincerità, oltre che in religione e comportamento?
Età dei pini a parte, vengo al vero nocciolo della questione. Sempre nella serata della sua intemperanza le ho chiesto informazioni sullo scritto evidenziato sull’esposto tabellone-lavori che riporta: “ Realizzazione di Centro Pronta Accoglienza Comunitaria per adulti a ciclo continuativo quale struttura sociale presso l’immobile comunale di Via Pietro Sette. Progetto esecutivo approvato con deliberazione dirigenziale n.137 del 13/4/2012 e n. 131 del 14/3/2014”.
Mi ha pubblicamente e testualmente risposto che dobbiamo intendere “creazione, fiore all’occhiello, di otto posti letto per nostri barboni che, bisognevoli di alloggio, si aggirano in paese in compagnia di cani”. Centro Pronta Accoglienza Comunitaria per adulti a ciclo continuo significa quindi solo provvedere alle necessità dei nostri otto poveri barboni? Ma se così fosse, considerato il loro contenuto numero e la necessità che pur avranno di cibo, perché non cercare loro una consona sistemazione presso la stessa Casa di Riposo, oggi in fase di messa a norma? Perché sottrarre invece ai nostri anziani un loro prezioso polmone verde, intaccando un’area che non credo priva di preesistenti vincoli? Sindaco, a me la cosa non appare tanto chiara e sono preso dal tarlo del dubbio che lei non la racconti tutta per intero. Conoscendo le camaleontiche trasformazioni di provvedimenti politici, non vorremmo, nel tempo, imbatterci in sorprese, sorpresine o sorpresone.
Dimenticavo: ma, la cittadinanza è stata messa al corrente delle sue intenzioni? E come ha reagito e come si è espressa? Non mi dica che ha fatto tutto da solo: sarebbe davvero troppo.
Se vedo male riceverà immediate le mie scuse. Pretenderò le sue se mi ha raccontato frottole.
La saluto senza entusiasmo e con tanta perplessità.
Pinuccio Lucarelli